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23.09.2014
Divieto di licenziamento
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Disciplina e durata

Fin dagli anni settanta, il nostro ordinamento ha tutelato la posizione della madre lavoratrice al fine di garantire alla stessa un'effettiva parità in relazione al diritto al lavoro, in ogni sua fase, dalla costituzione del rapporto di lavoro alla cessazione dello stesso.

La normativa vigente prevede, a tale scopo, un divieto assoluto di licenziamento delle lavoratrici, come pure di sospensione dal lavoro e di collocazione in mobilità, dall'inizio dello stato di gravidanza fino al termine del periodo di congedo obbligatorio, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino (art. 54, commi 1 e 4,T.U.).

Per determinare l'inizio del periodo di gravidanza si presume che il concepimento sia avvenuto 300 giorni prima della data del parto, indicata nel certificato di gravidanza (art. 4 D.P.R. 1026/1976).
Il divieto opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza per cui l'illegittimità del recesso del datore di lavoro prescinde dalla conoscenza che lo stesso abbia della condizione della dipendente. Di conseguenza, la lavoratrice licenziata nel periodo in cui opera il divieto può ottenere il ripristino del rapporto di lavoro, presentando al datore entro il termine di 90 giorni, decorrenti dal giorno successivo al licenziamento, idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza, all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano (
art. 54, comma 2,T.U.).

Il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore che usufruisca del congedo di paternità, per tutta la durata del congedo stesso, e si estende fino al compimento di 1 anno di età del bambino (art. 54, comma 7, T.U.).
Il licenziamento intimato in violazione di tali divieti, o causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore, è nullo (
art. 54, commi 5 e 6,T.U.). In tal caso, per giurisprudenza costante spetta alla lavoratrice, a titolo risarcitorio, il diritto alle retribuzioni dovute dalla data del licenziamento fino al compimento dell'anno di età del bambino, in quanto il rapporto si deve considerare come mai interrotto (ex plurimis, Cass. 16189/2002).

Limiti al divieto di licenziamento

Il divieto di licenziamento ha dei limiti tassativamente individuati dalla normativa nei seguenti casi:

1. colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;

2. cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;

3. ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o risoluzione del rapporto per la scadenza del termine;

4. esito negativo della prova (art. 54, comma 3,T.U.).

La giurisprudenza ha chiarito che l'omissione dell'informazione relativa al proprio stato di gravidanza non costituisce giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro, non integrando quella "colpa grave" prevista dalla norma che ne legittimerebbe il licenziamento (Cass. 2244/2006). Parimenti, la condotta della lavoratrice gestante, che al momento dell'assunzione non comunichi al datore di lavoro il suo stato interessante, non viola gli obblighi di buona fede e correttezza (Cass. 9864/2002).

La Suprema Corte ha poi affermato che nell'ipotesi di licenziamento comminato a seguito della chiusura del solo reparto cui è addetta la lavoratrice, lo stesso può considerarsi giustificato solo se il reparto ha un'autonomia funzionale e la lavoratrice non sia collocabile in altro reparto. Ancora, è illegittimo il licenziamento intimato per un'assenza ingiustificata protrattasi per pochi giorni (Cass. 19912/2011).

Infine, l'individuazione dei fatti che legittimano la risoluzione del rapporto di lavoro con la lavoratrice deve essere effettuata in maniera rigorosa, tenendo conto delle particolari condizioni psico-fisiche della lavoratrice (Cass. 16060/2004)...